Accanto alle classiche “uscite” in montagna e alle escursioni in natura alla scoperta di flora e fauna, negli ultimi anni si è andato affermando il fenomeno dei “cammini”: lunghi viaggi a piedi su itinerari culturali, in cui la sera si fa tappa presso strutture ricettive (ostelli, B&B, piccoli alberghi etc.) per ripartire il giorno dopo e percorrere un’ulteriore tappa di 15-25 km circa.

Nate inizialmente come pellegrinaggi religiosi, con lo spirito di ripercorrere gli itinerari devozionali medievali, oggigiorno esperienze come il Cammino di Santiago de Compostela o la Via Francigena non sono più patrimonio esclusivo dei fedeli, ma si sono evoluti in una forma di turismo lento e responsabile sulle direttrici che hanno costituito le arterie di comunicazione per tutto il Medioevo e le prime fasi dell’età moderna, contribuendo a creare la fisionomia paesaggistica e culturale dell’Europa.

Il Camino de Santiago resta un vero e proprio fenomeno: sulle sue diverse varianti, lungo percorsi che attraversano Francia, Spagna e Portogallo, attualmente la città galiziana di Santiago de Compostela attira circa 250mila camminatori all’anno provenienti da tutto il mondo. Ma, accanto a questa “classica”, in tutta Europa si vanno sviluppando numerosi altri itinerari — alcuni con una forte componente storica, altri a prevalente sfondo devozionale — che stanno gradualmente guadagnando attenzione, pur con numeri più bassi, che però sono in forte e costante crescita, anno dopo anno.

Alla base del successo di questi “cammini” stanno numerosi elementi: il fascino di ripercorrere itinerari ricchi di passato e tradizione; la possibilità di attraversare paesaggi agro-silvo-pastorali spesso molto suggestivi; l’idea di viaggiare lentamente e senza fretta con ritmi diversi e più naturali rispetto alla frenesia della vita contemporanea; l’incontro con borghi antichi dove è possibile mangiare e pernottare; senza dimenticare l’interesse enogastronomico per i prodotti locali e la “facilità tecnica dei percorsi che, a parte alcuni tratti montani, si svologno in genere in zone relativamente antropizzate e risultano ben segnalati, non presentando problemi per l’orientamenton anche dei camminatori meno esperti.

In Toscana: la Via Francigena

La Toscana è una terra di cammini. Lo è, anzitutto, per vocazione storica: una delle tre mete di pellegrinaggio medievale — accanto alla già citata Santiago sulla costa atlantica della Spagna e alla lontana Gerusalemme — era infatti proprio Roma. E per coloro che dall’Europa nordoccidentale — in particolare dalle attuali Gran Bretagna e Francia — dovevano recarsi a Roma… la Toscana era un passaggio obbligato.

Monteriggioni

L’arrivo a Monteriggioni dall’attuale tracciato turistico via Francigena. Quella che oggi è una delle “attrazioni” più amate del tracciato toscano della Via Francigena, però, non fu visitata dai pellegrini che si recavano a Roma almeno fino agli inizi del XIII secolo, periodo in cui la cittadina fu costruita in muratura e fortificata con la cinta muraria.

Oggi la Via Francigena è un itinerario turistico ben segnalato e sul quale la Regione Toscana e le amministrazioni locali hanno investito notevoli risorse per metterne in sicurezza i tratti problematici, nonché per realizzare una diffusa segnaletica. Il lavoro di numerose associazioni e la sensibilità degli operatori turistici che hanno capito le potenzialità di un tale itinerario stanno facendo il resto per trasformarlo in un cammino sempre più frequentato da viandanti provenienti da tutto il mondo. Non va poi dimenticato che la Via Francigena ha il riconoscimento ufficiale di Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa, al pari del Camino de Santiago.

La storia di un itinerario

In periodo altomedievale, la direttrice su cui si imposta la Francigena aveva condotto i Longobardi dal nord al sud della Penisola: il percorso entrava in Toscana al passo della Cisa, chiamato non a caso Monte Bardone (Mons Langobardorum, il “monte dei Longobardi”). Tra le ragioni che spingevano i Longobardi a seguire questa direttrice spostata verso ovest rispetto al centro della Toscana, c’era anche quella di mantenersi quanto più lontani dai territori ancora in mano ai Bizantini, loro nemici.

L’uso di questo itinerario si sviluppa cospicuamente negli ultimi due secoli del primo Millennio: il nome (Francigena o Francisca) lo definisce chiaramente come “la via dei Franchi” che a partire dalla fine dell’VIII secolo diventano i padroni di buona parte dell’Europa occidentale e meridionale. Chi proveniva dalle attuali Inghilterra o Francia (terra dei Franchi) e doveva dirigersi a sud verso Roma seguiva questa direttrice, che poi continuava fino in Puglia, dove ci si imbarcava per la Terrasanta. Il percorso valicava l’Appennino alla Cisa, rimaneva nella parte occidentale della Toscana e passava in città e borghi già relativamente sviluppati ben prima dell’anno Mille, come Lucca o Siena.

La Francigena: qualche mito da sfatare

Però ci sono dei “miti” ormai diffusi su cui è bene fare delle precisazioni: per prima cosa, occorre distinguere tra itinerario turistico attuale e percorso storico; poi va specificato che la Via Francigena non era l’unico itinerario che conduceva a Roma, e che anzi, da un certo periodo in poi, vide notevolmente ridotta la sua importanza. Vediamo di spiegare queste affermazioni.

A livello storico e culturale il percorso moderno — prefissato in tappe e segnalato sul terreno — non corrisponde con quello antico per il semplice fatto che non esisteva nel Medioevo un unico percorso: dai racconti dei viaggiatori medievali, possiamo infatti renderci conto che sono esistite delle varianti del tragitto, a seconda dei casi e con il passare dei secoli.

Il resoconto dell’arcivescovo anglosassone Sigeric, che nel 990 d.C. si recò a Roma per ricevere l’investitura direttamente dal Papa, non è infatti l’unica testimonianza — né la più antica — del viaggio verso Roma come spesso erroneamente ripetuto. Ne possediamo altre: dallo straordinario viaggio del monaco islandese Nikulás da Munkaþverá, che alla metà del XII sec. andò fino a Gerusalemme tornando poi fino in Islanda, al manoscritto di Matthew Paris (metà del XIII sec.), un monaco anglonormanno che forse non fece il viaggio in prima persona ma che, attingendo probabilmente ad altre fonti e a racconti di prima mano, ci ha lasciato una sorta di “guida illustrata” molto suggestiva.

Questi, e altri resoconti di viaggio che non citiamo qui, concordano esattamente nel riportare alcuni luoghi di sosta e alcune tratte della Via Francigena, ma in molti casi descrivono percorsi un po’ differenti. Infatti tutti questi itinerari del passato non vanno intesi quali strade dal tracciato fisso, come succede per le nostre autostrade, ma piuttosto come “direttrici”, ossia fasci di possibili percorsi che conducevano di villaggio in villaggio, di tappa in tappa attraverso passaggi diversi. Una frana, un allagamento, una città colpita da pestilenza, o eventi contingenti — come la presenza di predoni o di altri pericoli — potevano suggerire ai viandanti di passare da una parte invece che da un’altra, trascurando certe tappe.

Lungo il percorso, poi, si svilupparono veri e propri centri abitati importanti, nati inizialmente come “stazioni di sosta” per i viandanti e poi evolutisi in paesi o città importanti: è il fenomeno dei “villaggi strada” (conosciuti spesso con il nome tedesco di Straßendorf), vale a dire degli insediamenti lineari che seguono l’andamento della strada ai cui lati si sviluppano. In Toscana, abbiamo diversi esempi di questi insediamenti sulla Francigena, come San Gimignano o Siena, che furono in grado in una seconda fase di creare economie più ampie e fiorenti, svincolandosi dalla dipendenza dalle sole entrate legate al traffico sulla Francigena.

Strade e vie nel Medioevo

Nel mondo classico romano c’erano vere e proprie strade dal percorso sostanzialmente fisso (la Via Aurelia, la Via Cassia, la Via Appia e così via), ben attrezzate con ponti e gallerie e adatte al passaggio di carri per il trasporto di persone e di merci. Ma nel Medioevo — venuto meno un solido Stato centrale che potesse garantire costruzione e manutenzione di una potente rete viaria — ci si spostava prevalentemente a piedi o, per le classi più elevate, a cavallo. E le merci venivano trasportate più che altro con bestie da soma. Non era pertanto necessaria un’ampia infrastruttura stradale per consentire il passaggio: a seconda delle zone, carrarecce, mulattiere e ampi sentieri potevano bastare… Quindi non dobbiamo pensare a un’unica via possibile, ma a un fascio di possibili percorsi che attraversavano il territorio, connettendo centri abitati più o meno grandi, in cui cercare accoglienza.

La via Francigena nei pressi di Altopascio

La via Francigena nei pressi di Altopascio

L’altro mito da sfatare è che la Via Francigena fosse “il” percorso obbligato per raggiungere Roma — che lo si facesse come pellegrini, mercanti o soldati — durante tutto il Medioevo. C’erano invece altre possibilità, e le vediamo di seguito

Non solo Francigena: la via romea Germanica, e la Bologna–Firenze–Siena

Come tutte le vicende umane, anche la Via Francigena ha avuto un’evoluzione nel tempo, raggiungendo il massimo della sua importanza nei secoli immediatamente prima e dopo l’anno Mille. Ma, con il passare degli anni, altri percorsi romipeti” (cioè “che portano a Roma”, detti anche vie romee) assunsero importanza sempre maggiore rispetto alla Via Francigena.

Le principali direttrici della viabilità medievale in Toscana: la via Francigena (in rosso), la via Germanica (in blu), la via Bolognese e Sanese (in giallo).

Le principali direttrici della viabilità medievale in Toscana: la via Francigena (in rosso), la via Germanica (in blu), la via Bolognese e Sanese (in giallo).

Oggigiorno abbiamo un quadro storico relativamente più chiaro della situazione anche perché, negli ultimi venti anni, gli studi sull’antica viabilità medievale in Europa sono stati condotti con particolare attenzione, e non sono mancati i contributi specifici di due toscani, come Giovanni Caselli e Renato Stopani.

La Via romea Germanica

La Via romea Germanica (o Teutonica) è il percorso che, dall’Europa centrale e orientale, raggiungeva Roma valicando le Alpi al passo del Brennero, attraversando Trentino, Veneto ed Emilia-Romagna ed entrando in Toscana all’Alpe di Serra, sull’Appennino Tosco-Romagnolo, per poi scendere nel Casentino e raggiungere Arezzo, altro centro urbano molto importante e sempre fortemente collegato con l’area culturale di Ravenna, Forlì e Faenza. Da qui, attraverso la Val di Chiana, si proseguiva in direzione di Orvieto e poi di Roma, ricollegandosi al tratto finale della Via Francigena.

Questa direttrice orientale” assunse grande importanza a partire dal XII secolo, quando sempre maggiori diventarono gli spostamenti dall’area centrale e orientale d’Europa e addirittura dalla Scandinavia, le cui popolazioni si erano da poco convertite al Cristianesimo.

Alcuni manoscritti medievali, realizzati alla metà del Duecento in Germania e in Inghilterra, illustrano con dettaglio questo itinerario che aveva raggiunto significativo rilievo e che sarà usato, con alcune varianti, almeno fino agli inizi del Cinquecento.

Oggi, la Via Germanica (conosciuta anche come Via di Stade) è diventata un percorso che vede ogni anno aumentare il numero di camminatori. Nonostante le strutture ricettive non siano ancora sviluppate come sulla Francigena, per quanto riguarda la Toscana, il tratto tra Romagna e Val di Chiana della Via Germanica attraversa aree naturali davvero interessanti, incrocia antichi borghi ed è ormai ben segnalato. Vale sicuramente la pena andare a scoprire questi antichi tracciati, con escursioni all’insegna del binomio fra storia e natura.

La direttrice Bologna–Firenze–Siena: vie romee Bolognese, Sanese e Romana

Dopo l’affermazione del modello comunale nel corso dei XII e XIII secolo, l’Italia è costellata di numerosi centri urbani: alcuni di essi assumono un’importanza notevole non solo sul piano locale, ma in una dimensione europea, che oggi definiremmo “internazionale”. L’emergere di realtà come Firenze — che in Toscana ricoprirà sempre più un ruolo di egemonia — ridisegna già a partire da metà Duecento anche la viabilità e i collegamenti tra area transappenninica e destinazione romana .

Accanto alla direttrice occidentale (la via Francigena) e a quella orientale (la via Germanica), andrà sviluppandosi un itinerariocentrale” che vedrà come punti principali Bologna, Firenze e Siena. In pratica, i viaggiatori giunti dal nord Europa nell’area padana seguivano il percorso della Via Emilia, convergevano a Bologna e da qui, attraverso alcuni possibili percorsi paralleli per varcare l’Appennino (al Passo dell’Osteria Bruciata e al Giogo di Scarperia), raggiungevano il Mugello e poi Firenze (la cosiddetta Via Bolognese). Da Firenze, si andava verso Siena attraverso percorsi che attraversavano il Chianti  (Via Sanese) o la Valdelsa (Via Romana). Da Siena, poi, il percorso verso Roma ricalcava quello della Via Francigena.

Questa direttrice è la meno conosciuta a escursionisti, viandanti e pellegrini moderni ma, dal punto di vista storico, a partire dalla fine del Duecento è stata sicuramente una delle più percorse. Lo attestano sia le fonti scritte che i resti di numerose strutture ricettive ancora visibili lungo il percorso: i cosiddetti “hospitalia” o “spedali”, ossia strutture religiose dedicate all’ospitalità di pellegrini e viaggiatori, le quali svolgevano le loro attività accanto ad accoglienze private quali locande, osterie e taverne.

Si pensi solo che nel tratto urbano di questo percorso che attraversava Firenze da nord (Porta San Gallo) a sud (Porta Romana), ancora oggi è possibile riconoscere numerosi edifici la cui destinazione iniziale era quella di accogliere i pellegrini. Alcuni di queste strutture, per quanto modificate nel tempo, conservano un nome legato al pellegrinaggio, oppure mostrano sulle loro facciate simboli caratteristici come la figura stilizzata del viandante pellegrino o la conchiglia tipica di coloro che erano stati a Santiago.

Da un punto di vista escursionistico”, la direttrice Bologna–Firenze–Siena è oggi coperta dalla cosiddetta Via degli Dei fino a Firenze, ma poi presenta tratti meno segnalati e con poche strutture ricettive rispetto a Francigena e Germanica. Costituisce però un itinerario di viaggio a piedi di sicuro interesse, sia per il valore storico, che per il paesaggio e le emergenze naturalistiche dei tratti meno antropizzati.

Una rete di itinerari

Chiaramente, accanto agli itinerari principali, si svilupparono numerosi altri percorsi volti a mettere in collegamento i vari rami principali. E molte di queste strade hanno svolto la loro funzione di collegamento locale almeno fino alla definitiva affermazione della ferrovia e dell’automobile, invenzioni moderne che hanno reso attività obsolete l’andare a piedi o a dorso di cavalcatura.

Accanto alle principali direttrici, si svilupparono nei secoli alcune vie secondarie, come la cosiddetta via Francigena Nova (in Magenta) e la via Aretina Vecchia (in verde).

Accanto alle principali direttrici, si svilupparono nei secoli alcune vie secondarie, come la cosiddetta via Francigena Nova (in Magenta) e la via Aretina Vecchia (in verde).

Fino alla metà del Settecento le principali direttrici viarie della Toscana sono state sostanzialmente quelle appena descritte. Poi il quadro è mutato, a volte anche in modo drastico e repentino, anche in virtù dell’opera di trasformazione del territorio dei Granduchi Lorena i quali favorirono la nascita delle grandi strade carrozzabili che hanno rappresentato la base per la viabilità contemporanea.

Un’esplorazione attuale del territorio

Ma la viabilità antica è ancora parte del nostro territorio: possiamo ritrovarla nella mulattiera all’interno di un bosco, nel tratto di selciato che attraversa il centro storico di un piccolo borgo o nella stradella rurale che corre lungo una vigna o un uliveto.

Esplorare il territorio anche con un occhio a queste testimonianze del passato è un’attività appassionante, a basso impatto e che permette di immergersi nell’ambiente naturale che ci circonda, per una giornata o per un viaggio di più tappe.